sabato 30 gennaio 2016

La testimonianza di un treiese, per non dimenticare



Mercoledì 27 gennaio, Giorno della Memoria, in una toccante cerimonia presso la Prefettura di Macerata, sono state consegnate le medaglie d’onore ai deportati nei lager nazisti durante la seconda guerra mondiale. Anche il treiese Fernando Palmucci, sopravvissuto al lager e scomparso nel 1993  è stato insignito di questo riconoscimento, che è stato ritirato dai figli Addis, Rita e Ivano. Palmucci Fernando era nato a Treia il 5 dicembre 1913 e svolgeva la professione di mugnaio/commerciante ambulante di alimentari. Si arruola la prima volta il  20 ottobre 1933; partecipa nel 1935 alla campagna in Africa Orientale. Viene richiamato nel 1939 e parte per l’Albania; richiamato nel 1941 si imbarca per Valona in territorio di guerra. Militare in forza al 128° Reggimento fanteria 6Compagnia 2° Battaglione riparte nel maggio 1943 per l’Albania, territorio di guerra, dove viene fatto prigioniero dai Tedeschi il 13 settembre 1943 e deportato in Germania al Campo di concentramento di FALLINGBOSTEL (Bassa Sassonia) STAMMLAGER XI B e gli viene assegnata la matricola n. 167817. Come militare gli viene negato lo stato di prigioniero di guerra per cui viene assegnato al campo di lavoro della Fabbrica FULGURIT-WERK di WUNSTORF (Hannover). Durante il periodo di prigionia viene ricoverato in ospedale militare per grave stato di debilitazione generale e diffusa infezione auricolare. Il 9 maggio 1945, all’indomani della fine della guerra, viene trattenuto dalle FF. AA. delle Nazioni Unite. Il 21 giugno 1945 parte da Wunstorf e il 9 luglio dello, stesso anno rientra in famiglia a Passo di Treia. Nel 1956gli vengono concesse due croci al merito di guerra per la partecipazione alle operazioni militari. La famiglia conserva un breve memoriale del periodo della prigionia ed alcune lettere spedite dal campo di concentramento, nonché il numero di matricola inciso su una targhetta di legno. Per non dimenticare mai gli orrori della guerra, delle persecuzioni, dell’odio razziale, fermiamoci a riflettere sul valore della pace, del rispetto, della solidarietà e leggiamo la testimonianza che ernando ha racchiuso in un diario: il racconto dei giorni di orrore della prigionia, vissuti nella speranza di riabbracciare la famiglia.

 La mia prigionia di Fernando Palmucci
Arrivo nel campo di concentramento di Fallingbostel sera del giorno 10 ottobre 1943 nelle prime ore della notte, subito siamo messi in una baracca ed un po’ alla meglio si dorme, anzi dico si dorme bene, dato che è 12 giorni che si viaggia in treno, dove in ogni vagone si sta come bestie, perciò abituati così, arriva il giorno e non me ne accorgo. Appena giorno, questi assassini ci fanno la sveglia e qui la nostra tortura. Ci fanno l’adunata, ci mettono inquadrati e ci tengono là delle lunghe ore per farci capire che noi eravamo in pericolo ogni piccola cosa che si fosse fatta: per esempio avvicinarsi ai reticolati, tentare la fuga, non rompere oggetti nelle baracche e tante altre cose che venivano considerate atti di sabotaggio puniti con la fucilazione ed altre severissime condanne che in seguito vedrò e sentirò da chi l’ha provate. Io già me ne faccio un’idea di tutto questo, ma la mia idea mi dice di essere ottimista, invece è tutto viceversa. In tutti i modi arriva la sera ed ancora da mangiare non si vede e per questo giorno si salta il pasto. Fortunatamente io ho ancora una scatoletta ed una galletta che mangiamo assieme a due miei paesani Cardini Arduino e Maccari Luigi, così andiamo a dormire, al solito nelle tavole. Il giorno 12 sveglia presto, adunata, ci portano al bagno e qui fra i russi ed i tedeschi ci incominciano a rubare qualcosa che gli fa comodo. Fatto il bagno come volevano loro, dobbiamo aspettare nudi in una sala, dove c’era anche freddo e prima che ci ridanno i nostri vestiti passati nelle macchine ad alto calore, passa un tre quarti d’ora. Fatto tutti questo bagno freddo e caldo, ci cambiano baracca e sono destinato nella baracca C.6 assieme a questi miei due compagni dove le brande sono tutt’uno da terra a tetto, ossia a tre piani, senza paglia, senza niente, solo il nostro telo da tenda e qualche coperta, chi ce l’aveva, perché per il viaggio quasi tutti avevamo venduto qualcosa per mangiare, dato che questi farabutti non ce ne davano. Anche oggi adunati per delle ore, così passa anche questo giorno senza mangiare. Questo lo fanno per farci abituare dato che qui, in questa maledetta terra si mangia pochissimo. La mia mente mi fa ricordare tante cose sentite raccontare da chi già c’era passato nella guerra del 15-18. Il giorno 13 solita sveglia, solo già cambiava: chi ritardava qualche minuto erano bastonate. Fanno l’adunata e ci dicono che dobbiamo prendere tutta la nostra roba, perché si deve cambiare di nuovo baracca, così si fa, ma mentre che si prendeva tutto già incomincia a circolare la voce che ci passa una rivista per portarci via tutta la roba di valore che avevamo. Io di roba di valore avevo qualche piccola cosa che subito misi al sicuro, per modo di dire, perché anche a me portò via qualche cosa. 
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Da qui si ritorna in baracca, dove ci rimettiamo al posto di prima e ci danno un rancio speciale, carote divise in due con molta sabbia in mezzo e 4 patate che tutti mangiamo per la troppa fame.
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II giorno 14, solita sveglia, qualche goccia di the che poi non è. Di nuovo adunata, dove assieme ai nostri carnefici arriva anche un italiano con divisa fascista e ci fa un discorso dove ci dice che chi aderisce a collaborare con i tedeschi sarà mandato in un altro campo e trattato al pari di questi e fra qualche giorno rimandato in Italia a combattere nel nuovo partito repubblicano, dove dice che c’è ancora Mussolini, invece chi non aderisce a questo, sarà trattato come traditore e subirà tutti i maltrattamenti che può darsi ad uno di questi e ci dice anche che noi non abbiamo più un nome, ma un numero, perciò riflettete bene e non aspettate domani, venite subito ad impugnare il fucile per scacciare dalla nostra cara Italia il barbaro nemico che ci bombarda case e ci mitraglia donne, bambini e vecchi. In questa baracca saremo circa un migliaio e solo qualcuno aderisce, gli altri siamo irremovibili e fra di noi diciamo: il fucile ce l’hanno levato e se non ce lo fanno prendere per forza, volontariamente non lo riprendiamo.
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Ma io già incomincio a sentirmi mancare le forze ed anche a sentirmi male e così incomincio a passare dei giorni ancora più tristi, solo mi passano questi giorni con la speranza che già radio reticolato trasmette che per Natale tutto sarà finito e ritorneremo nelle nostre care case e così mangiando solo quel pezzettino di pane vado fino al giorno 20, poi chiedo visita, e un tenente medico italiano mi riscontra anemia e malaria ed il giorno 21 sono ricoverato all’ospedale, ma qui il mangiare è uguale, solo che non ci sono adunate ma disciplina molta ed io mi demoralizzo sempre più anche perché ho lasciato i miei compagni. Qui ci sto fino al giorno 25 quando arriva un piccolo dottore francese ed non so se per ordine dei tedeschi o perché lui non ci poteva vedere, ci mette fuori quasi tutti ci mette fuori con la febbre alta e anzi io sono uno di quelli che l’ha a 39.
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Poi si ritornava in baracca, solito freddo per strada, qui si andava a dormire e dormivo proprio sopra a tutti e con il freddo e l’acqua che bevevo il giorno, la notte non facevo altro che andare alla latrina e tante volte non facevo in tempo e me la facevo nei pantaloni, perché si dormiva vestiti; questa vita è durata per 4 giorni, tanto è vero, l’ultimo giorno non gliela facevo a salire sul camion e mi ci hanno buttato sopra. II giorno 29 insisto di chiedere visita e così mi portano dal capitano medico Altamura della mia divisione. Questo appena mi vede mi dice che debbo essere ricoverato immediatamente e mi fa un biglietto da presentare al capo campo che mi accompagna subito all’ospedale italiano. Ma anche questa volta, solito rancio, niente cure perché non avevano medicinali, solo non si lavorava e si stava in branda, questa era la cura. Così io mi vedo proprio perduto e non so che malattia ho e se con questa cura mi posso guarire. Solo il mio pensiero è per i miei piccoli, la mia Mina ed i miei genitori, fratelli e sorelle e prego la Madonna del Ponte ed altre persone care che mi aiutino a guarirmi, ma ad ogni ora le mie forze diminuiscono, il mio morale si abbassa di più e non mi rimane altro che aspettare il giorno della mia fine.
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Poi alla mattina è venuta un’autolettiga francese che mi ha portato assieme ad altri 3 miei compagni nell’ospedale francese dove per 4 giorni non so cosa mi abbiano fatto, perché non capivo più niente e non prendevo  niente, sono stato sempre a letto senza parlare e conoscere nessuno. Poi ho incominciato a riprendere i sensi ed anche a muovermi un pochettino e dato che qui erano solo francesi, belgi, olandesi, polacchi, serbi, ossia tutti gli altri stati al di fuori di italiani e russi, i più disgraziati.
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Così girando in queste e vedendomi in che stato ero, tutti mi davano qualcosa: biscotti, marmellata, pane, patate, rancio, qualche sigaretta e tante altre cose da mangiare. Certamente che tutti non ci vedono di buon occhio a noi italiani, il perché tutti lo sappiamo, ma anche questi ragionano e dicono che la colpa non è nostra perciò diventano ottimi camerati. Ma i più che ci vogliono bene sono i belgi, poi i polacchi ed in seguito francesi, olandesi e serbi e tutti gli altri. Poi in questo ospedale mi trovo assieme ad Albino Palmucci che fa l’attendente al tenente cappellano e questo mi aiuta molto dato che lui è proprio in diretto contatto con tutti i ricoverati delle altre nazioni.
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Passati un po’ di giorni invariabili, in una baracca di fianco a noi, ma divisa dai reticolati, arriva un battaglione di camicie nere che avevano aderito a collaborare con i tedeschi e in procinto di partire per il fronte italiano; incominciamo a fare un grande commercio perché questi erano sprovvisti di sigarette, di marchi ed anche da mangiare e questi ricoverati avevano bisogno di varie cose.
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Poi in questi giorni mi viene un ascesso dentario e per 8 giorni mi danno certa acqua per farci gli sciacqui per farlo sgonfiare; poi quando questo è sgonfio mi tolgono 2 radici e mi fanno la puntura e non sento niente; ma non sono a posto con questo perché mi viene fuori l’otite nell’orecchio destro, ma un po’ per distrazione oppure per fortuna, questo male mi allunga di molto la permanenza in questo ospedale dove noi italiani chi non muore ci sta molto bene. Anche qui in questo reparto specializzato per otite trovo un infermiere francese che parla italiano e così mi tratta molto bene tanto per curarmi come per darmi molte vitamine.
Qui si interrompe il diario.
Trattenuto dalle FF.AA delle Nazioni Unite il 9 maggio 1945
Partirà dalla stazione di Wunstorf alle ore 21,30 del 21.06.1945
Arriverà a casa il 9 luglio 1945
Stralcio di due lettere
Dallo Stammlager XI B 21.5.1944 (timbro postale di Passo di Treia 28.11.1945)
Mia carissima Mina, (nomignolo della moglie)
giorni or sono ricevetti una tua con data 23/3 dove provo molto piacere nel sentire che tutti vi trovate bene di ogni cosa e godete ottima salute così potete essere sicuri che ne sia di me. Mina, ma con tutto ciò penso continuamente a voi, il perché tu già lo sai. Poi quasi ogni notte vi sogno e nel sogno sono sempre in mezzo a voi, ma purtroppo quando mi sveglio mi ritrovo qui in questa mia branda con molta illusione e molti nervi che ringraziando Iddio anche questi mi sono svaniti quasi del tutto e credimi, Mina, sono diventato un agnellino che al mio ritorno fra voi dovrai molto meravigliarti di questo mio cambiamento. Mina speriamo che i miei sogni prestissimo diventino realtà così possiamo passare tutta la nostra vita assieme e felici …
Dallo Stammlager XIB 19.6.1944 (timbro postale di Passo di Treia 21.5.1945)
Carissima Mina,
tomo mandarti mie notizie. Io mi trovo bene di tutto e come spero ne sia di voi tutti, solo sono sempre preoccupato per voi, perché certamente in questi giorni passati avrete passato qualche giorno un po’ brutto, ma voglio sperare che la Madonna SS. del Ponte abbia ascoltato le mie preghiere e vi abbia salvato da ogni pericolo e che prestissimo ci faccia riabbracciare sani e salvi e in piena salute come è il mio grande desiderio e certamente è anche il vostro, non è vero mia carissima Mina? Mina io in questi giorni attendo con molta ansia tue notizie, ma certamente queste andranno molto alla lunga, ma in tutti i modi basta che voi vi troviate bene che se anche queste ritardano è poco male. Mina, l’unica cosa che mi raccomando di farvi molto, ma molto coraggio e avere sempre fiducia in Dio perché dopo la tempesta viene sempre il tempo bono e così sarà. Mi raccomando ai nostri cari piccoli e se puoi di non fargli mancare niente. Mina, per ora tralascio, ma il mio pensiero è sempre su voi e i miei cari. Ti bacio caramente a te, Addis, Rita e mia famiglia, sempre vostro caro Fernando.



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